"Un romanzo, quello di Maurizio Oliviero, che va letto, come una necessità ineludibile".
Domenica De Falco
Possibile che i pedofili la facciano quasi sempre franca? E che, anche se scoperti, non la paghino abbastanza cara? Giulio, un giornalista sportivo divorziato, pensa che i giudici abbiano la mano troppo leggera, in questi casi, forse perché i bambini non possono raccontare né denunciare. Invece il problema è enorme, perché il danno che riceve una persona da un’esperienza di questo tipo la segna per tutta la vita e non si lava via come una ferita fisica. Quando Giulio, a 50 anni, incontra un amore maturo in Eva, è felice come un ragazzo ma resta molto turbato nello scoprire che la sua nuova compagna è una delle vittime di questi orribili malati: è stata abusata da suo padre all’età di sette anni! Al pesante disappunto per questa scoperta, si aggiunge quello che Eva gli crea con un comportamento all’improvviso fuorviante: sparisce all’improvviso dopo una piccola discussione e smette di rispondergli finanche al telefono. Giulio si convince che la colpa di questo risale al famoso padre e, persuaso che la giustizia non sia adeguata, decide di vendicare Eva in prima persona, anche se con tanto ritardo. Sollecita l’aiuto del suo migliore amico, Damiano, e si mette alla ricerca del vecchio, che non aveva fatto in tempo a conoscere durante il breve rapporto con Eva. Inizia allora un’autentica caccia all’uomo che, una volta trovato il personaggio, si tramuta in un’operazione di raggiro: Giulio vuole approfondire, all’insaputa di Eva, la conoscenza con il vecchio e la moglie-madre per capire bene e poi procedere con la sua giustizia privata. Damiano lo aiuta, anche se controvoglia, e nasce anche una storia nuova con la giovane segretaria del suo stesso amico, da tempo invaghita di Giulio. Il tutto ha come testimone Selvaggia, la figlia quindicenne del giornalista, tipino molto pepato che simboleggia un rapporto con il padre diametralmente opposto a quello di Eva con il suo.
Si arriva all’epilogo: Giulio incontra un’ultima volta il vecchio e gli rivela la propria identità, portandolo a una drammatica reazione. Successivamente Eva ricomparirà per un incontro conclusivo. Solo allora Giulio verrà a conoscere la vera fine del babbo rotto; solo allora saprà da lei i motivi del suo allontanamento; solo allora potrà tirare le somme di una brutta storia che non avrebbe potuto avere vincitori.
"Esistono tantissimi modi di parlare di argomenti moralmente difficili quali incesto e pedofilia. Esiste però una modalità non banale, non limitata alla denuncia del più turpe dei reati. Esiste una sensibilità femminile di scrittura che fa la differenza, soprattutto quando promana da penna e formazione maschili.
Maurizio Oliviero ci offre con questo romanzo una lettura della pedofilia, aggravata dal legame incestuoso, nel contempo forte e delicata, epidermicamente insopportabile (in alcuni passaggi descrittivi) ma analitica e intelligente, attraverso l’alternarsi delle voci narranti (Lei, Lui) e la massiccia incidenza diegetica di personaggi femminili, profilati con nettezza di contorni, che assicurano i giusti contrappesi narrativi: da Eva (la coprotagonista narrante), a Selvaggia (la figlia di Giulio, adolescente esagitata ma lucida e “salvatrice”), a Chiara (giovane e bella ventitreenne segretaria di Damiano, amico di Giulio, e figlia di uno psicologo) e a Samah, che seppur nei limiti di un esiguo spazio narrativo, funge da amplificatore fortissimo dell’argomento trattato.
A sottolineare temporalità diverse che a partire da un determinato momento si intersecano e si fondono, il carattere corsivo incipitale di ciascun capitolo, che situa la narrazione non tanto (o non soltanto) in un passato più o meno remoto, bensì nello spazio- tempo della memoria. Ricordo e racconto, passato e presente, miseria e dolore, distruzione dell’infanzia e vita adulta.
Eva ha 40 anni circa quando incontra Giulio, affascinante scrittore cinquantenne, ed è immediatamente passione : “Lei legge il suo libro e ne rimane stregata”.
Tutto accade naturalmente tra di loro: il primo invito dell’uomo a un’uscita in moto che lei accetta pur senza la minima dimestichezza del veicolo, la simpatia (che è sempre empatia) che emana dai loro sguardi, il primo contatto fisico, il sesso (attivato per impulso e iniziativa di lei) sul divano, lei completamente nuda, lui ancora vestito:
“Era di là e mi aveva detto di aspettarlo. […] Scivolai sul grande divano, dove ci sedevamo abitualmente, e cominciai a spogliarmi. Scarpe, vestito, calze, levai proprio tutto […] e mi sdraiai completamente nuda coprendomi solo qua e là con qualche cuscino. Quando entrò era sorridente, vestito con giacca e cravatta perché aveva pensato a una sorpresa anche lui: voleva portarmi a cena fuori. […] Era buffo ed emozionante stare nuda accanto a lui vestito di tutto punto. […] Cominciò ad accarezzarmi e baciarmi tutta, delicatamente, senza spogliarsi”.
La descrizione che segue intreccia in un equilibrio perfetto sensualità e dolcezza, cosicché l’atto amoroso è chiaramente dinanzi agli occhi del lettore, e coniuga sapientemente (senza indugiare nello stereotipo dei generi) il femminile e il maschile.
Oltremodo significativo è che dopo l’amore, la scena si focalizzi su un’altra e forse maggiore intimità, collocata in uno spazio attiguo, dal divano alla scrivania dove Giulio mostra a lei (che sa di essere la prima) gli appunti manoscritti dei suoi futuri romanzi.
È un momento topico, in cui tutto ancora è possibile, carta vergine da scrivere, inizio di ogni storia d’amore. Ma Eva è rotta dentro, e Giulio riceverà una confessione (corredata di descrizioni crude e realistiche) che non sarà in grado di gestire, perché quando bastava “accarezzare” la sua donna, sarà proiettato verso altri pensieri. Fragile anche lui, come lei, o forse di più, medita vendetta: il suo senso innato di giustizia non può fargli accettare che Lei, così bella e autentica, sia stata violata a soli 7 anni, e da colui che per ogni bambina dovrebbe rappresentare l’Amore assoluto, l’Eroe invincibile, l’uomo senza macchia:
“Sono la sua prediletta e lui l’uomo più importante delle mie fantasie, è la mia roccaforte, il mio punto di riferimento: con lui vicino, nessuno oserebbe farmi del male”.
Confessarsi equivale a consegnarsi nudi all’altro, che deve meritare il dono. Ma Giulio capirà solo dopo la scomparsa dalla sua vita di Eva di essersi comportato da “stupido come un insulso maschio”. E attraverso Chiara, che gli era apparsa di primo acchito una bella giovane in cerca di un uomo maturo, addomesticherà la propria impulsiva consapevolezza (inutile, hélas!) delle azioni da mettere in atto per neutralizzare il Mostro. Chiara sarà lì e lo salverà a suo modo, dopo un unico incontro intimo in cui l’uomo, pur senza innamorarsene, si renderà conto di quanto sia infinitamente bella e di quanto sfugga con forza a ogni tentativo (e tentazione) di imbrigliamento, di categorizzazione comoda e rassicurante.
Ancora una donna, Samah, trentatrenne tunisina violentata a 5 anni dal fratello di una vicina di casa, schiude la propria intimità (stavolta solo verbale) a Giulio, consegnandogli un’ulteriore occasione di comprensione, la fissazione del trauma e la circolazione ineluttabile di esso intorno a un pivot temporale:
“Quella cosa è rimasta sempre con me […]. Il fatto più strano è che i miei ricordi, a partire da quel momento sono lucidissimi, mentre sappiamo tutti che la memoria di quell’età normalmente è quasi assente”.
Sarà ancora una donna, Selvaggia, la figlia di Giulio, a farlo desistere dal suo proposito maldestro e un po’ “scontato” (unica nota stridente forse in un romanzo coeso e apprezzabilissimo) della giustizia personale. Si sente un po’ di forzatura nelle dinamiche create da Giulio per arrivare, con l’aiuto dell’amico del cuore Damiano, ai genitori di Eva, mentre lei sembra inghiottita nel nulla, ma si supera la stonatura del mezzo attraverso il fine. Principalmente perché tale incontro e il dialogo che ne seguirà dopo la resa di Salvatore, dopo l’obbligo di togliersi la maschera, pone anche il lettore di fronte all’ineffabile controverso della patologia sessuale stessa. Sarebbe stato troppo facile se l’autore della turpitudine si fosse incarnato in un abietto crasso e illetterato. Ma Salvatore non lo è, al contrario è un uomo colto e intelligente, ma a cui le capacità di discernimento (relativamente a un orientamento sessuale eticamente condannabile) non hanno permesso di fermarsi. E si rimane colpiti da un autentico pugno nello stomaco quando lui dice, poco prima di morire, consegnando un perdono (ma è davvero tale?) ma non alla persona a cui lo dovrebbe:
“Io amavo … io amo Eva”.
Maurizio Oliviero assume pienamente il rischio della sincerità e arriva con maestria “al cuore della gente”, passando però dalla testa e non solo dalla pancia.
Un’unica donna l’autore non salva, ed è la madre di Eva, complice di un segreto meschino e abominevole, mamma non protettiva e non rassicurante come deve essere una mamma, non rifugio ma perdita, irrimediabile e eterna. Ma forse, ed è però un forse flebile, anche lei vittima inconsapevole a suo modo. Narrativamente assai fecondo è che il finale aperto sia messo ancora una volta nelle mani di una donna, una piccola donna che all’uomo, quando tutto sembra per lui ormai definitivamente perduto (Eva è andata via, e Giulio non ha saputo trattenerla, poiché “l’amore di una donna è come un cristallo, che se lo incrini va tutto in frantumi”) offre una voce, una presenza, una speranza". Domenica De Falco